È indennizzabile ex art. 314 cod. proc. pen., a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione, la privazione della libertà indebitamente sofferta per effetto dell’applicazione della misura di sicurezza personale della casa di lavoro, avendo la stessa natura restrittiva.
A cura di Giuseppe Calderazzo (Penalista del foro di Locri e vice-presidente della Camera Penale di Locri)
Con i motivi di ricorso avverso l’ordinanza della Corte di Appello che riconosceva l’indennizzo previsto dall’art. 314 cpp ad un soggetto che era stato sottoposto alla misura si sicurezza detentiva per un reato contravvenzionale, il Ministero dell’economia e delle finanze lamenta, con un primo motivo, la illogicità della motivazione in quanto la Corte di Appello non avrebbe verificato se le condotte poste in essere dal ricorrente siano o meno riconducibili ad una tra le fattispecie ostative al riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione e in sostanza se abbia con la propria condotta concorso o meno a dare causa alla misura restrittiva. In particolare si evidenzia che l’aggravamento della libertà vigilata era dipeso dal fatto che, al momento della notifica del provvedimento di scarcerazione, nel settembre 2015, il soggetto si era reso irreperibile, per poi essere denunciato, nell’ottobre 2016, per il reato di ricettazione, in quanto sorpreso a bordo di un’autovettura risultata provento di furto. Da ciò discenderebbe, ad avviso dell’Avvocatura erariale, l’esistenza di un nesso di causalità tra le condotte del ricorrente e la misura della libertà vigilata, laddove la prima sarebbe condicio sine qua non della seconda, essendo evidente che, ove non si fosse verificata la richiamata condotta illecita, non sarebbe stato ordinato l’aggravamento.
Con un secondo motivo il Ministero ricorrente lamenta anche una non corretta interpretazione della legge in quanto era in un primo momento controverso in giurisprudenza se, in tema di applicazione delle misure di sicurezza, le modifiche di cui al decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, e di cui al decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito nella legge 30 maggio 2014, n. 81, avessero determinato il superamento della tradizionale distinzione tra delitti e contravvenzioni e tale situazione di incertezza è stata risolta dall’intervento della S.C. con la sentenza di Sez. 4, n. 12399 del 17/01/2019, P.M. in proc. Huseynova Leyla, Rv. 275358. In conseguenza, ad avviso dell’Avvocatura erariale, al momento dell’adozione della misura della libertà vigilata nel 2016 l’applicabilità della misura libertà vigilata alle contravvenzioni non costituiva un evidente errore diritto ma una possibile opzione interpretativa.
- Il ricorso non è fondato.
2.1 Ed invero la Corte ha ritenuto che il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento in quanto l’aggravamento, con applicazione della casa di lavoro, non poteva comunque essere disposto perché, a monte, non poteva essere adottata misura di sicurezza personale per una contravvenzione, essendo tale possibilità prevista soltanto per delitti non colposi puniti con pena superiore ad una certa soglia (art. 222 cod. pen.), mentre il secondo motivo è manifestamente infondato.
E’ infatti tranciante il principio di diritto espresso dalla sentenza citata dalla stesso ricorrente ( ossia sez. IV n. 12399 del 17/01/2019) secondo la quale “in caso di proscioglimento da una contravvenzione per infermità psichica è illegittima l’applicazione, ai sensi dell’art. 222 cod. pen., della misura di sicurezza personale del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o di altra misura idonea individuata dal giudice, dovendosi escludere che le modifiche apportate alla disciplina in materia dal d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito in legge 17 febbraio 2012, n. 9, e dal d.I. 31 marzo 2014, n. 52, convertito in legge 30 maggio 2014, n. 81, abbiano determinato il superamento della distinzione tra delitti e contravvenzioni ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza”.
Nella motivazione di quella sentenza si specifica che è certamente vero che la materia delle misure di sicurezza ha subito una notevole trasformazione a seguito delle disposizioni normative che si sono succedute con i decreti legge n. 211/2011 e n. 52/2014, ed anche a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale che, con la fondamentale sentenza n. 253/2003, rifuggendo dai precedenti automatismi previsti dalla legge, ha introdotto la possibilità per il giudice di applicare la misura di sicurezza più idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale. Tali novità, tuttavia, non hanno inciso sui presupposti applicativi delle misure di sicurezza, nei termini pretesi dal ricorrente.
Il caso che qui rileva, dice quella sentenza, è specificamente disciplinato dall’art. 222 cod. pen., che prevede l’applicabilità del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (o di altra misura di sicurezza idonea individuata dal giudice, giusta la dichiarazione di illegittimità costituzionale dianzi accennata) nei confronti dell’imputato prosciolto per infermità mentale, salvo che si tratti di contravvenzioni (come nel caso di specie), delitti colposi o delitti la cui pena non sia superiore ad un determinato limite, casi per i quali è prevista la sola comunicazione della sentenza all’autorità di pubblica sicurezza. Si tratta di una chiara disposizione di legge che non può ritenersi superata, come preteso dal ricorrente, sulla base di un’attività interpretativa delle più recenti riforme del sistema normativo che presiede alla regolamentazione delle misure di sicurezza. In particolare, il richiamo alla disposizione di cui all’art. 1, comma 1-quater, del decreto legge n. 52/2014, secondo cui “Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”, che secondo il ricorrente – facendo la norma riferimento alla “pena detentiva” (e non alla pena della reclusione) – attesterebbe il superamento della distinzione fra delitti e contravvenzioni ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza, non assume particolare significato ai fini che qui rilevano, trattandosi di una generica dizione normativa che va necessariamente letta in combinazione con le norme del codice penale che regolamentano i presupposti oggettivi delle singole misure di sicurezza applicabili; sicché per “pena detentiva” non può che intendersi, con riguardo al caso di specie, quella specificamente prevista dall’art. 222 cod. pen., vale a dire la pena della reclusione irrogata per il delitto commesso. La disciplina delle singole misure di sicurezza che si trae dagli artt. 222 e segg. cod. pen. non risulta, dunque, modificata, quanto ai presupposti applicativi, dai citati interventi legislativi e costituzionali.
Ancora più in particolare la sentenza della IV sezione evidenzia come “l’opzione legislativa di escludere le contravvenzioni (ed altri tipi di reati) dall’ipotesi di cui all’art. 222 cod. pen. trova evidente giustificazione nella scelta ragionevole del legislatore di non applicare una misura di sicurezza personale, sempre gravosa per la persona che la subisce, nei confronti di imputati prosciolti per reati non particolarmente gravi. Del resto, le norme citate dal ricorrente hanno sicuramente ampliato i criteri da adottare per la scelta della misura di sicurezza più idonea al caso concreto ed introdotto un limite massimo di durata per le misure di sicurezza detentive, proprio a tutela del soggetto sottoposto a misure che, in precedenza, potevano avere una durata indefinita, persistendo i requisiti di pericolosità sociale. Un intervento legislativo, quindi, maggiormente garantista e attento ad un’applicazione misurata e di stretta necessità delle misure di sicurezza personali. Sarebbe, perciò, paradossale trarre dallo spirito di tale nuova normativa un principio di indiscriminata applicazione delle misure di sicurezza nei confronti di tutti gli imputati prosciolti per vizio totale di mente, indipendentemente dal tipo di reato commesso, delineando un sistema che, per certi versi, sarebbe ancora più gravoso e penalizzante di quello precedente […] Conseguentemente, bene ha fatto il giudice di merito a non applicare, nel caso concreto, alcuna misura di sicurezza, procedendosi per una contravvenzione, tipologia di reato esclusa dalla previsione di cui all’art. 222 cod. pen.”.
Si tratta di una chiara motivazione, che non offre margine per dubbi di sorta, circa la non applicabilità di gravosa misura di sicurezza personale nei confronti di imputati prosciolti per reato contravvenzionale, illecito che è il legislatore ad avere ritenuto, al momento della scelta della incriminazione, non grave. In ogni caso, nella materia in questione non può acquisire rilevanza il livello di gravità dell’errore di diritto del giudice, che errore in materia di libertà personale è ed errore resta.
Cass. Pen. sez. 4 n. 13539 del 26 novembre 2024 dep. 8 aprile 2025
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