“Le Sezioni Unite penali hanno affermato che è viziato da abnormità ed è, quindi, ricorribile per cassazione il provvedimento con il quale il giudice rigetti la richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., motivato con riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti la cui esistenza è presunta per legge.”
A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese trasmetteva al G.I.P. dell’omonimo tribunale una richiesta di assunzione testimoniale, tramite incidente probatorio, di una donna da considerarsi persona offesa in relazione a un procedimento penale pendente a carico del compagno. Quest’ultimo era, difatti, indagato per il reato di cui all’art. 572 c.p. avendo, secondo l’ipotesi accusatoria, “maltrattato la donna con continue violenze psicologiche e fisiche, anche nel periodo in cui la stessa si trovata in stato di gravidanza”.
La predetta istanza veniva presentata, ai sensi dell’art. 392, comma 1-bis, c.p.p., dal momento che, alla luce del titolo del reato, la testimone era da qualificarsi come “persona offesa in condizioni di vulnerabilità presunta per legge”. Di tal che, l’audizione anticipata avrebbe evitato – secondo l’organo inquirente – gli effetti traumatici del processo e, al contempo, avrebbe garantito la genuinità della prova da acquisire e tutelato la donna stante il “recente parto” e le “peculiari condizioni psicologiche” in cui la medesima versava in quel periodo.
Il G.I.P. rigettava la richiesta evidenziando preliminarmente come la norma contenuta nell’art. 329, comma 1-bis c.p.p., “non prevede per il giudice un “obbligo” di disporre l’incidente probatorio in tutti i casi ivi previsti”. Nello specifico, secondo il giudicante, non ricorrevano le condizioni di vulnerabilità invocate dal P.M. considerata:
- la maggiore età della persona offesa;
- il fatto che la donna avesse presentato plurime denunce contro l’uomo;
- il contenuto dei riscontri rispetto alla “sua ultima deposizione accusatoria”;
- il contenuto delle dichiarazioni del padre della p.o. (che aveva rappresentato agli inquirenti che la donna, a seguito del parto, trovavasi in buone condizioni di salute).
La predetta ordinanza costituiva oggetto di ricorso per cassazione a mezzo del quale il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese, deduceva la avvenuta violazione di legge avendo il G.I.P. “disatteso la richiesta di incidente probatorio senza tenere conto della ratio giustificativa della disciplina di cui era stata domandata l’applicazione” poiché lo scopo essenziale della normativa in questione è quello di “evitare il rischio che la persona offesa vulnerabile possa subire le conseguenze di un fenomeno di “vittimizzazione secondaria” ” e di garantire “la genuinità della prova, la cui “qualità” verrebbe posta in discussione tanto dalla reiterazione quanto dalla dilazione nel tempo dell’escussione testimoniale di un soggetto fisicamente e psicologicamente “fragile” ”.
Ciò posto, secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe affetto da abnormità essendosi verificata la manifestazione di un potere discrezionale esercitato oltre ogni ragionevole limite. Di conseguenza, l’ordinanza reiettiva redatta dal G.I.P. sarebbe stata viziata da una “carenza di potere in concreto” trattandosi di un’istanza con la quale si richiedeva non solo l’assunzione testimoniale della p.o. per uno dei reati espressamente previsti dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, c.p.p. (e, per tale ragione, pienamente accoglibile), ma anche perché “in un contesto di presunzione legislativa, nel quale si “annulla” ogni margine di discrezionalità, il Giudice per le indagini preliminari ha concentrato la motivazione sulla differibilità nel tempo della audizione della vittima del reato, omettendo di illustrare le ragioni della minusvalenza delle esigenze processuali di tutela della persona offesa e di garanzia della genuinità della prova dichiarativa”.
La Sesta sezione, investita del gravame, con ordinanza datata 23 maggio 2024, lo rimetteva alle Sezioni Unite stante l’esistenza di un contrasto interpretativo all’interno della giurisprudenza di legittimità nella subiecta materia.
Orbene, secondo un primo orientamento (maggioritario), è da considerarsi legittimo il provvedimento a mezzo del quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza della persona offesa nei casi indicati dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, c.p.p. poiché rientrante “nella sfera del potere discrezionale spettante al giudice”. In tal senso, devesi rilevare che la normativa sovranazionale (art. 35 della Convenzione di Lanzarote del 2007, art. 18 della Convenzione di Istanbul del 2011, artt. 18 e 20 della Direttiva 2012/29/UE) ribadisce l’importanza dell’adozione “di misure finalizzate alla limitazione delle audizioni della vittima”, dalla quale non può derivare, però, “nel processo penale alcun “automatismo” probatorio, né tanto meno un obbligo per il giudice di disporre l’assunzione della testimonianza della persona offesa vulnerabile a seguito della mera presentazione di una richiesta di incidente probatorio”. Pertanto, l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio – ai fini dell’esame della persona offesa rispetto a uno dei reati espressamente richiamati dalla norma in questione (art. 392 c.p.p.) – non è considerabile abnorme in caso di esclusione, da parte del giudicante, dello “stato di vulnerabilità della vittima” dal momento che tale tipo di provvedimento “non si pone al di fuori del sistema processuale e non determina una irrimediabile stasi del procedimento, ben potendo la indicata prova dichiarativa essere acquisita nel prosieguo del giudizio” (cfr. Sez. 1, n. 46821 del 08/06/2023, Favia, Rv. 285455 – 01; Sez. 6, n. 46109 del 28/10/2021, P., Rv. 282354 – 01; Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2021, P., Rv. 281718 – 01; Sez. 5, n. 2554 del 11/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280337 – 01; Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604 – 01).
Secondo un opposto orientamento (condiviso dal Collegio rimettente), la corretta applicazione delle norme sovranazionali (art. 35 della Convenzione di Lanzarote del 2007, art. 18 della Convenzione di Istanbul del 2011, artt. 18 e 20 della Direttiva 2012/29/UE) impone “l’anticipazione nel tempo dell’audizione di quelle persone offese, di cui occorre salvaguardare l’integrità fisica e psicologica, altrimenti messa in pericolo da un indebito ritardo ovvero da una ripetizione degli ascolti nel corso del procedimento penale”. Seguendo tale filone giurisprudenziale, sul giudice incombe un obbligo di ammissione dell’incidente probatorio quanto quest’ultimo sia stato richiesto per l’ “assunzione della testimonianza della persona offesa vulnerabile richiesto ai sensi dell’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen.”. Il rigetto dell’istanza sarà possibile “solo in assenza degli ulteriori specifici presupposti normativi che legittimano l’anticipazione dell’atto istruttorio”.
Tale interpretazione trova il proprio fondamento non solo nella analisi letterale della norma in questione che è caratterizzata dalla presenza della seguente formula: «anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1», ma anche dal fatto che “in tutte le disposizioni del codice di rito in materia di prova penale, sono sempre tenute distinte le facoltà di iniziativa spettanti alle parti processuali, espressione dell’’esercizio di diritti potestativi, dai poteri valutativi e decisionali spettanti al giudice destinatario delle relative richieste”.
Di conseguenza, è da considerarsi affetta da abnormità l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio al fine di procedere all’assunzione della testimonianza della persona offesa nel caso in cui “tale determinazione sia giustificata da concrete valutazioni in ordine alla vulnerabilità della vittima ovvero alla esistenza della urgenza dell’atto da compiere: il relativo provvedimento è considerato, talora, affetto da abnormità strutturale, in quanto emesso in assenza di un potere espressamente previsto dalla legge” (Sez. 3, n. 47572 del 10/10/2019, P., Rv. 277756 – 01; Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019, P., Rv. 277686 – 01) oppure da “abnormità funzionale, laddove la mancata esposizione delle ragioni che prevalgono sulle esigenze di tutela della vittima e della genuinità della prova finisca per risolversi in una arbitraria disapplicazione di quella speciale regola di assunzione della testimonianza” (Sez. 2, n. 29363 del 24/03/2023, P., Rv. 284962 – 01).
Ciò posto, la questione di diritto sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite è stata la seguente: “Se e a quali condizioni sia abnorme il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen.”.
Il Supremo Consesso, dopo un analitico e articolato excursus normativo, ha deciso di optare per l’adozione del secondo orientamento (seppur con le dovute puntualizzazioni del caso).
In tal senso, devesi rilevare che l’interpretazione letterale della norma contenuta nell’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, c.p.p. induce a ritenere che l’incidente probatorio c.d. “speciale” (ossia l’assunzione della testimonianza della persona offesa maggiorenne in relazione a uno dei reati espressamente indicati dalla predetta disposizione normativa) sia possibile “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”. La ratio fondante la predetta disposizione è stata, pertanto, quella di “escludere che il giudice, chiamato a decidere su una siffatta richiesta di incidente probatorio, sia tenuto ad effettuare verifiche in ordine alla indifferibilità della prova ovvero alla non rinviabilità della sua assunzione”. Di conseguenza, l’inciso «anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1» ha un preciso significato ossia quello di collegare “il carattere della non rinviabilità della prova alla specifica qualifica posseduta da uno di quei soggetti vulnerabili”. È, conseguentemente, precluso al giudice procedere a una verifica concreta della indifferibilità dell’atto o alla “non rinviabilità della assunzione della prova” se il teste da ascoltare rientra tra una delle c.d. “categorie protette”.
Trattasi, pertanto, di una presunzione juris et de jure.
Una situazione siffatta induce a ritenere, secondo le Sezioni Unite, che “il raffronto tra il testo del primo periodo del comma 1-bis dell‘art. 392 cod. proc. pen. e quello del già richiamato secondo periodo del medesimo comma, porta legittimamente a ritenere che, solo nel caso regolato da tale secondo periodo, il giudice conservi un più ampio potere valutativo”. Solo in tale seconda situazione (ossia in caso di incidente probatorio c.d. “atipico”), il giudice avrà il compito di accertare se la persona offesa si trovi in uno stato di particolare vulnerabilità.
I reati rientranti nella “seconda situazione” sono tutti quelli differenti rispetto a quelli indicati dal primo periodo del comma 1-bis.
In questi casi, è il giudice che dovrà valutare e appurare in concreto se, nel caso di specie, sussiste o meno la “condizione di particolare vulnerabilità” della p.o., la quale potrà essere desunta «oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede» anche da un’attenta analisi volta a comprendere «se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato» (cfr. art. 90 quater c.p.p.).
E’ chiaro che, in ogni caso, resta ferma l’applicabilità della norma contenuta nell’art. 190, comma 1, c.p.p. secondo cui il giudicante è sempre tenuto a escludere «le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti».
Ciò posto, il giudice può, comunque, pervenire al rigetto della richiesta di incidente probatorio nel caso in cui l’esame testimoniale dovesse risultare inutile (si pensi, ad esempio, al caso in cui la prova dei fatti che costituiranno oggetto della deposizione possa essere “raccolta” aliunde oppure al caso di esame non praticabile a causa delle particolari condizioni psicofisiche del dichiarante). In casi consimili, però, il provvedimento reiettivo deve essere oggetto di adeguata motivazione al fine di evitare il rischio che le determinazioni assunte vadano a costituire una sostanziale elusione del dictum normativo.
Le Sezioni Unite non condividono il ragionamento di alcune delle sentenze di legittimità che hanno considerato sussistente, nella subiecta materia, un “meccanismo caratterizzato da una forma di automatismo probatorio” per cui il giudice “sarebbe sempre, e comunque, obbligato a disporre l’assunzione della prova dichiarativa sulla base della sola richiesta di incidente probatorio”.
Secondo il Supremo Collegio è più corretto “qualificare la situazione in esame come una di quelle nelle quali la legge fissa solamente un “limite” ovvero un “condizionamento” all’esercizio del potere discrezionale del giudice penale”.
Di conseguenza, è condivisibile – secondo le SS UU – quell’orientamento di legittimità secondo cui “non è di ostacolo alla configurabilità della presunzione di legge circa l’esistenza dei due indicati requisiti per l’ammissione dell’incidente probatorio c.d. “speciale” la circostanza che l’assunzione anticipata della testimonianza della persona offesa vulnerabile sia, comunque, condizionata dalla necessaria presentazione della richiesta di una delle parti legittimate”.
In tale contesto assume decisivo rilievo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che – dichiarando l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, c.p.p. “nella parte in cui prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche persona offesa dal reato” – ha voluto evidenziare come la disposizione de qua preveda una presunzione legislativa di sussistenza della condizione di vulnerabilità.
Di conseguenza, l’equiparazione delle due categorie è stata reputata conforme ai parametri della Costituzione pur ricorrendo un’evidente “deroga al principio processuale della immediatezza della prova penale”. La deroga è, però, strettamente connessa alla «presunzione di indifferibilità e di non rinviabilità dei contenuti testimoniali proprio in ragione della natura dei reati contestati e della condizione di vulnerabilità dei soggetti da audire». In tale contesto, l’introduzione di una forma “speciale” o “atipica” dell’incidente probatorio non si pone in contrasto con le garanzie di cui agli artt. 24 e 111 Cost. trattandosi di ponderate “opzioni legislative” volte a garantire un “congruo bilanciamento di valori contrapposti: da un lato, quello connesso alla tutela della personalità del minore o della persona vulnerabile, obiettivo di sicuro rilievo costituzionale; «dall‘altro, i valori coinvolti dal processo penale, quali quelli espressi dai principi, anch’essi di rilievo costituzionale, del contraddittorio e del diritto di difesa, in forza dei quali l’accusato deve essere posto in grado di confrontarsi in modo diretto con il materiale probatorio e, in specie, con le prove dichiarative» (Corte cost., sent. n. 92 del 2018; conf. Corte cost., sent. n. 14 del 2021; Corte cost,, sent. 262 del 1998)”.
Il tutto si pone, conseguentemente, in sintonia con il rispetto del principio del giusto processo (art. 6 CEDU) considerato che le deroghe al principio dell’immediatezza – previste nella subiecta materia – sono da reputarsi “limitate ed accettabili” poiché adottate con ulteriori misure utili ad “assicurare che il giudice chiamato a decidere abbia una piena conoscenza del materiale probatorio in precedenza acquisito (Corte cost., sent. n. 132 del 2019)”.
Alla luce delle superiori considerazioni, l’intendimento delle Sezioni Unite è stato quello di porsi in linea con le disposizioni sovranazionali (cfr. art. 35 della Convenzione di Lanzarote del 2007 e artt. 18 e 20 della Direttiva 2012/29/UE).
Di conseguenza, se da una parte, il legislatore ha dato particolare attenzione nel delineare le caratteristiche (indubbiamente peculiari) dell’incidente probatorio c.d. “speciale” (ex art. 392, comma 1-bis, primo periodo, c.p.p.), dall’altra ha cercato di garantire un concreto ed effettivo bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti (tutela della personalità del soggetto vulnerabile e rispetto delle garanzie difensive dell’imputato). In questo delicatissimo equilibrio assumono decisivo rilievo i pronunciamenti costituzionali e convenzionali che hanno profondamente arricchito “l’elaborazione di quel concetto di vittimizzazione c.d. “secondaria”, che ha poi trovato la sua “codificazione” nelle richiamate disposizioni della Direttiva 2012/29/UE”.
Ecco che la Corte di Strasburgo, valorizzando la comunanza del concetto di “vittimizzazione secondaria” con quello di “vulnerabilità”, ha sancito che il diritto previsto dall’art. 8 CEDU può ritenersi violato in tutti quei casi in cui siano adottate, nel corso del processo, “forme e modalità di audizione che non garantiscano una adeguata protezione della vittima” (cfr., tra le altre, Corte EDU, 27/05/2021, J.L. c. Italia; Corte EDU, 09/02/2021, Affaire N.G. c. Turchia; Corte EDU, 14/05/2020, Mraovic c. Croazia; Corte EDU, 02/03/2017, Talpis c. Italia; Corte EDU, 28/05/2015, Y. c. Slovenia).
In tale contesto giurisprudenziale, la Corte di giustizia delle Comunità Europee, fin dall’anno 2025, si è pronunciata in via pregiudiziale sulla interpretazione delle disposizioni dettate dagli artt. 2, 3 e 8 della Decisione Quadro del 15 marzo 2001, 2001/220/GAl, avente specificamente a oggetto la posizione della vittima nel procedimento penale. Orbene, in tale occasione, la Corte di Lussemburgo ha stabilito che «la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalle citate disposizioni della decisione quadro impone che un giudice nazionale abbia la possibilità, per le vittime particolarmente vulnerabili, di utilizzare una procedura speciale, come l’incidente probatorio diretto all’assunzione anticipata della prova, prevista nell’ordinamento di uno Stato membro, nonché le modalità particolari di deposizione pure previste, se tale procedura risponde in modo ottimale alla situazione di tali vittime e si impone al fine di impedire la perdita degli elementi di prova, di ridurre al minimo la ripetizione degli interrogatori e di impedire le conseguenze pregiudizievoli, per le dette vittime, della loro deposizione in pubblica udienza» (Corte giustizia, 16/06/2005, Pupino).
Una volta illustrato per quale motivo è stato condiviso il secondo orientamento (minoritario), le Sezioni Unite hanno “virato” l’attenzione su un’altra questione ossia “se l’ordinanza del giudice di rigetto della richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., motivata con riferimento alla vulnerabilità della persona offesa o alla non rinviabilità della prova, sia impugnabile con ricorso per cassazione”.
Nello specifico, in assenza all’interno del codice di rito della possibilità di impugnare tale provvedimento, la quaestio iuris ha ad oggetto l’impugnabilità dell’ordinanza viziata da abnormità tramite ricorso per cassazione.
Orbene, pur in presenza di orientamenti giurisprudenziali fra loro contrastanti, le Sezioni Unite – nel tentativo di tessere un fil rouge in tale materia – hanno, preliminarmente, evidenziato la sussistenza di due forme di abnormità: strutturale e funzionale.
La prima, secondo il Supremo Collegio, ricorre nel caso in cui “il provvedimento del giudice si ponga al di fuori del sistema processuale, in quanto espressione dell’esercizio di un potere non attribuito dall’ordinamento processuale, dunque adottato in una situazione di “carenza di potere in astratto” […] ovvero quando esso sia manifestazione di un potere riconosciuto dall’ordinamento, ma esercitato al di fuori dei casi consentiti, in un contesto processuale del tutto diverso da quella previsto dalla legge, per cui sia riconoscibile una «radicale deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale»”.
La seconda (abnormità funzionale) sussiste ogni volta in cui “il giudice abbia esercitato un potere riconosciutogli dall’ordinamento, ma il provvedimento emesso comporti una stasi del procedimento ovvero un‘impossibilita di proseguirlo”.
Ciò posto, le due differenti forme di abnormità inducono a ritenere viziata da abnormità strutturale per “carenza di potere in concreto” l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio – avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nel catalogo di cui all‘art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen. – quando il provvedimento giudiziale sia fondato su valutazioni concernenti la vulnerabilità della persona offesa o la non rinviabilità dell’assunzione della prova.
Difatti, sussistendo una vera e propria presunzione juris et de jure rispetto “alla esistenza sia del requisito della vulnerabilità della persona offesa da esaminare sia di quello della non rinviabilità della assunzione della relativa prova testimoniale” stante la natura del reato in questione, l’ordinanza reiettiva deve reputarsi manifestazione dell’esercizio di un potere “caratterizzato da una radicale “deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale”.
Questo perché la ratio fondante la disciplina normativa è quella di evitare, in ogni modo, fenomeni di
fenomeni di vittimizzazione secondaria della persona offesa (o del teste minorenne) e di garantire la genuinità della prova da acquisire.
Di conseguenza, un’ordinanza di rigetto mal motivata o avente quale motivazione valutazioni giudiziali concernenti la vulnerabilità della persona offesa o la non rinviabilità dell’assunzione della prova è “causa di un pregiudizio altrimenti non sanabile per le situazioni soggettive delle parti interessate, perché quella prova dichiarativa resta in astratto assumibile nel prosieguo del giudizio, ma il mancato accesso all’incidente probatorio determina una compromissione di bisogni di tutela che il legislatore, con il riconoscimento di una loro assoluta prevalenza, ha posto a presidio della operatività dell’istituto speciale in esame”.
Sulla scorta delle superiori considerazioni di carattere giuridico, le Sezioni Unite hanno enucleato il principio di diritto secondo cui “E’ viziato da abnormità ed è, quindi, ricorribile per cassazione il provvedimento con il quale il giudice rigetti la richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., motivato con riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti la cui esistenza è presunta per legge”.
Cass. Pen., Sez. U, sent. n. 10869, dep. 18 Marzo 2025, ud. 12 Dicembre 2024
Pres. M. Cassano, Rel. E. Aprile
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